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Individuate tre molecole
che mandano ko i capillari

 

C’è un evento che si verifica in molte malattie assai diffuse, ma che non viene spesso considerato come si dovrebbe: la distruzione dei capillari, i piccolissimi vasi che rappresentano i terminali periferici del sistema sanguigno e svolgono un ruolo fondamentale nel “trasporto” dell’ossigeno e delle sostanze nutritive a ogni cellula dell’organismo. In patologie quali i tumori, il diabete, le malattie cardiovascolari e l’ipertensione, i capillari vanno incontro, talora, a danni irreversibili, con conseguenze che - nel caso del diabete, per esempio - possono portare alle neuropatie diabetiche periferiche (cioè danni ai nervi), a loro volta collegate a situazioni anche molto gravi, come la necessità di amputare un piede, o una sua parte. Ora, però, uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della Florida del Sud, sede di Tampa (Stati Uniti), ha permesso di identificare tre molecole pro-infiammatorie (cioè capaci di innescare le infiammazioni), che rivestono un ruolo importante nella distruzione dei capillari, e che potrebbero quindi essere bersaglio di terapie mirate: l’interleuchina 1 beta, il fattore di necrosi tumorale alfa (o TNF alfa), e la trombina. Le prime due sono prodotte dal sistema immunitario; la trombina dal fegato. Come scrivono i ricercatori sulla rivista scientifica Arteriosclerosis, Thrombosis, and Vascular Biology, questi tre fattori, presi singolarmente, ma anche e soprattutto in combinazione, accelerano la degenerazione dei piccoli vasi. 

I test che hanno portato a individuare il ruolo di queste tre molecole sono stati condotti in laboratorio, utilizzando un modello tridimensionale di capillari, realizzato con una tecnica particolarmente innovativa. I ricercatori hanno visto, come dicevamo, che l’insieme delle tre molecole, se presenti in quantità specifiche, costituisce un segnale di necrosi dei capillari. Ma gli studiosi sono andati anche oltre, e hanno cominciato a "testare" sul modello una serie di farmaci, già approvati dalle autorità sanitarie internazionali, che - combinati insieme - sembrano in grado di contenere gli effetti negativi delle tre molecole, e di rallentare la degenerazione dei capillari.

A.C.
Data ultimo aggiornamento 12 febbraio 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: diabete, ipertensione



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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