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Un plasma freddissimo potrebbe
curare le lesioni della dermatite atopica

La tecnologia del plasma freddo atmosferico o CAP, messa a punto nei primi anni duemila, e applicata in dermatologia, è al momento in studio anche in oncologia, in oftalmologia e in altre specialità mediche. Basata sulla vaporizzazione, sotto raggi UV e in campi elettrici, di gas quali l’azoto e l’ossigeno, cioè sulla generazione di specie chimiche reattive, ha alcune caratteristiche che la rendono efficace in ambiti quali la sterilizzazione (uccide i microrganismi) e la guarigione delle ferite (stimola la formazione di nuovi tessuti), anche se i meccanismi molecolari attraverso i quali si determinano tali effetti non sono del tutto chiari. Per questo i ricercatori dello Hefei Institutes of Physical Science (HFIPS) della Chinese Academy of Sciences (CAS), insieme a quelli dell’Anhui Medical University hanno pensato a una nuova, possibile applicazione: la cura delle lesioni della dermatite atopica, malattia autoimmune per la quale non esistono cure definitive, ma solo trattamenti locali non del tutto efficaci e gravati da effetti collaterali significativi, e anche allo studio dei dettagli di ciò che accade quando viene applicato il CAP.

Utilizzando uno strumento costruito da loro stessi, e modelli animali nei quali erano state indotte, con un agente chimico, lesioni del tutto simili a quelle che si hanno nella dermatite atopica umana, i ricercatori cinesi hanno così somministrato il CAP, che si presenta come un vapore che non supera mai i 40°C emesso da una sonda apposita. 

Come riferito su Frontiers in Immunology, hanno così potuto dimostrare che esso è efficace, riduce il livello di infiammazione locale e l’ispessimento della cute, favorisce la regressione delle lesioni e la diminuzione delle papule, attenuando anche la morte cellulare programmata o apoptosi delle cellule cutanee e gli altri fenomeni tipici della malattia. 

Andando poi a verificare che cosa accade a livello di espressione genica, hanno dimostrato che, in primo luogo, si attivano i recettori che rispondono gli stress fisici e, nello specifico, alla scarsità di ossigeno (soprattutto il fattore di trascrizione chiamato hypoxia-inducible factor-1 (HIF-1). Ciò scatena una serie di eventi che, alla fine, ha come esito l’attivazione dell’espressione di un altro gene, quello di una sostanza chiamata midbrain astrocyte-derived neurotrophic factor (MANF), che protegge le cellule.

Il CAP quindi non solo è efficace, ma agisce attraverso un circuito finora mai compreso così chiaramente, che potrebbe, a sua volta, essere oggetto di nuovi approcci terapeutici alla dermatite atopica.


Data ultimo aggiornamento 1 marzo 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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