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L’esposizione un solvente e a 10 pesticidi
aumenta molto il rischio di Parkinson

Cresce il ruolo dei contaminanti ambientali nel rischio di sviluppare una malattia neurodegenerativa e, nello specifico, il morbo di Parkinson. Uno studio condotto in due grandi basi militari statunitensi, pubblicato su JAMA Neurology, ha infatti dimostrato che dopo due soli anni di esposizione spinta a un solvente ancora usatissimo, il tricloroetilene o TCE, che si disperde ovunque, la probabilità di avere la malattia cresce del 70%. E un altro, uscito negli stessi giorni su Nature Communications, ha identificato dieci pesticidi associati anch’essi a un significativo aumento dell’incidenza.

Nel primo caso, gli autori hanno confrontato ciò che era accaduto a Camp Pendleton, in California, dove il TCE non era stato utilizzato, con ciò che su era verificato a Camp Lejeune in North Carolina, dove invece la sostanza era stata impiegata in concentrazioni molto elevate come sgrassatore dei materiali militari, soprattutto tra il 1975 e il 1985, al punto da contaminare acqua e terreni circostanti, raggiungendo concentrazioni 70 volte quelle considerate massime. Analizzando i dati dei militari che avevano frequentato le due basi per una media di due anni in quel periodo, e quelli degli stessi uomini e donne tra il 1997 e il 2021, è emersa una palese differenza: coloro che avevano prestato servizio a Camp Lejeune quando avevano circa vent’anni, a 53-54 anni avevano un’incidenza 70 volte superiore ai militari di Camp Pendleton. Inoltre, i primi mostravano molto più spesso dei secondi le forme che precedono la diagnosi vera e propria come la perdita dell’olfatto e del sonno.

Il TCE, introdotto oltre cento anni fa, e già bandito come anestetico nel 1977, è stato associato a molti tipi di tumori, ma viene tuttora impiegato come sgrassante, anche per la sua grande versatilità ed efficacia Tuttavia, resta nel terreno, nelle acque e nell’atmosfera per decenni, ed è quindi un contaminante universale.

Nel secondo studio, i ricercatori delle Università di Harvard (Boston) e Los Angeles hanno dimostrato che dieci pesticidi danneggiano pesantemente le cellule coinvolte nel Parkinson, quelle dopaminergiche. Inizialmente hanno verificato l’uso, negli anni, di 288 sostanze tra le oltre mille approvate in California, uno degli stati dove si pratica maggiormente l’agricoltura, presenti in oltre 14.000 prodotti, spesso in combinazioni multiple, in chi si era ammalato di Parkinson. In tal modo ne hanno identificati 53. Quindi li hanno messi a contatto con i neuroni ricchi di dopamina, e hanno visto che i peggiori sono dieci, tra insetticidi, erbicidi e funghicidi (dicofol, endosulfan, naled, propargite, diquat, endothall, trifluralina, solfato di rame in due forme e folpet), quasi tutti ancora in vendita. Lo stesso è emerso per i lavoratori dei campi di cotone: il peggiore è la trifluralina, che è anche uno dei più utilizzati. Ora si cercherà di capire perché queste sostanze siano così dannose per le cellule nervose dopaminergiche, per capire se sia il caso di vietarle o consentirne l’uso con forti limitazioni.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 8 giugno 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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