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Diabete, scoperte le “firme genetiche”
che predicono il rischio

di Agnese Codignola

Prevedere il rischio di sviluppare il diabete è da sempre uno degli obiettivi della ricerca: consentirebbe infatti di mettere in campo strategie preventive per evitare la malattia o almeno ritardarne l’esordio, in modo da contenere la distruzione delle cellule beta pancreatiche che producono insulina prima che il danno sia irreparabile. Finora il traguardo è sempre sfuggito, perché non ci sono sintomi specifici precoci e perché non sono mai stati individuati biomarcatori realmente predittivi. Ora, però, la situazione potrebbe cambiare, sia per il diabete di tipo 1 (quello giovanile di natura autoimmune) sia per quello di tipo 2 (associato a squilibri del metabolismo). Tre studi, uno dei quali italiano, pubblicati negli stessi giorni, hanno infatti dimostrato che il prediabete (cioè la condizione che precede entrambe le forme della malattia) ha specifiche "firme genetiche" che possono essere individuate con un esame del sangue permettendo di intervenire per tempo.

Nella ricerca italiana pubblicata sulla rivista scientifica Cardiovascular Diabetology, gli specialisti del gruppo Multimedica di Milano hanno valutato il rischio di diabete di 1.500 persone, nell’ambito del progetto DIAPASON (DIAbetes Prediction And Screening: ObservatioNal study) condotto con diversi medici di famiglia, l’ATS Milano Città Metropolitana, l’Università Statale, Regione Lombardia e il Ministero della Salute, con il sostegno della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi. Attraverso questo primo screening, sono state individuate oltre 500 persone che avevano un profilo di rischio molto elevato: nel loro sangue erano presenti livelli altissimi di una piccola molecola, un frammento di microRNA chiamato miR-21, che in precedenza era stato indicato come possibile marcatore di danno al pancreas.

I ricercatori sono andati anche oltre. Hanno infatti proposto a circa 200 soggetti a rischio di cambiare stile di vita, cioè di introdurre una moderata attività fisica e di seguire una dieta controllata di tipo mediterraneo. Dopo un anno, l’84% dei volontari aveva perso peso, mostrava un miglioramento degli indici metabolici e aveva livelli di miR-21 molto più bassi rispetto all’inizio della dieta. I dati hanno poi dimostrato un altro effetto benefico dell’abbassamento della quantità di miR-21: la riduzione del danno ai vasi sanguigni, tipico dell’iperglicemia. Lo stesso microRNA, infatti, inibisce i meccanismi che contrastano l’ossidazione che causa lesioni ai vasi. Ora gli approfondimenti continuano, grazie a un progetto europeo della EFSD (European Foundation for the Study of Diabetes), per delineare nel dettaglio il significato predittivo di miR-21.

Gli altri due studi sono stati condotti dai diabetologi dell’Università di Turku (Finlandia) su bambini a rischio di diabete di tipo 1 e si sono concentrati, oltreché sui microRNA, anche su un altro tipo di firma genetica: quello delle modifiche epigenetiche (si dice così in termine tecnico) che intervengono non sulla struttura del DNA, ma sulla sua espressione.

I bambini finlandesi sono quelli che presentano il più elevato rischio al mondo di sviluppare il diabete di tipo 1, in parte per predisposizione genetica, in parte per fattori esterni (quali l’eccesso di igiene e la presenza di inquinanti ambientali), in parte per motivi ancora sconosciuti. Per questo sono diventati l’oggetto di un grande studio, chiamato InFLAMEs, che parte da un’indagine approfondita del loro genoma e che coinvolge pediatri, diabetologi, genetisti, esperti di scienze computazionali, epidemiologi e diversi altri specialisti.

Nel primo studio, pubblicato su Diabetologia, i ricercatori hanno descritto una serie di specifiche modifiche epigenetiche in oltre 220 campioni di sangue di bambini a rischio che presentavano già autoanticorpi diretti contro le cellule beta. Nel secondo studio, uscito su Diabetes Care e condotto su un’ottantina di bambini, gli esperti hanno confermato la relazione tra la presenza di autoanticorpi specifici per il diabete di tipo 1 e un microRNA chiamato hsa-miRNA 6868-3p, i cui livelli risultano molto aumentati nelle fasi precoci e che finora non era mai stato descritto.

Nel loro insieme, i tre studi suggeriscono che l’indagine genetica dettagliata può permettere di definire i profili di rischio di entrambe le forme di diabete. Con ogni probabilità in futuro sarà proprio questo tipo di test ad aiutare a diagnosticare il diabete in fase molto precoce, consentendo di avviare strategie preventive mirate come quella basata su dieta e attività fisica, per il diabete di tipo 2, o su terapie farmacologiche immunomodulanti, per quello di tipo 1.

Data ultimo aggiornamento 27 marzo 2022
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Vivere con il diabete di tipo 1? È come camminare sul filo



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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