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Gli antidepressivi sono spesso usati come antidolorifici, senza prove solide a supporto

Anche se sono molto prescritti per questo scopo (in modo inappropriato e non contemplato – off label - nelle indicazioni), gli antidepressivi non funzionano contro il dolore. O, quantomeno, non ci sono prove solide del fatto che possano essere efficaci al di là di singole situazioni, descritte in modo assai disomogeneo e spesso inaffidabile.

A questa importante conclusione giunge una metanalisi di 26 review (articoli già di per sé riassuntivi di 126 studi condotti tra il 2021 e il 2022) che hanno coinvolto oltre 25.000 persone, appena pubblicata sul British Medical Journal dagli psichiatri dell’Università di Sidney, in Australia.

I trial analizzati riguardavano otto classi di antidepressivi (42 le molecole studiate) che sono stati utilizzati per 22 condizioni dolorose, in poco meno di metà dei casi con la sponsorizzazione dell’industria che li produceva. Per comodità, è stata adottata una scala del dolore con un punteggio da 0 a 100, che comprendeva diverse variabili tra cui i dosaggi, il tempo del trattamento, lo sviluppo di resistenza, gli effetti collaterali e altro.

In nessun caso è stato dimostrato un effetto con elevata solidità statistica, mentre nove revisioni non inattaccabili (sempre dal punto di vista statistico) hanno suggerito una qualche azione di alcuni farmaci (verificati rispetto a un placebo) in nove condizioni dolorose. Tra questi gli inibitori della ricaptazione della serotonina (la famiglia della fluoxetina, nota anche come SSRI), che potrebbero attenuare lievemente il mal di schiena (5,3 punti di riduzione della scala), la fibromialgia e il dolore neuropatico. Altri trial, di qualità statistica peggiore, hanno fatto emergere qualche effetto sul dolore nel cancro al seno, nell’artrosi del ginocchio, nella depressione. Un’altra classe, quella dei cosiddetti triciclici (tra i primi a essere introdotti in clinica), sembra invece poter alleviare il dolore associato alle malattie infiammatorie dell’intestino, quello neuropatico e la cefalea tensiva ma, ancora una volta, i dati sono si scarsa qualità, e quindi non conclusivi e in definitiva poco attendibili. In 31 confronti, poi, il risultato non ha mostrato alcun effetto, oppure ha dato un esito incerto. E, ciò che è più grave, in generale l’analisi della tossicità di queste terapie è stata sempre sottovalutata e condotta con superficialità: un particolare preoccupante.

Chiara quindi la conclusione degli autori: il dolore non dovrebbe essere affrontato con questi farmaci, che peraltro non hanno questa indicazione (con pochissime eccezioni), anche se in qualche paziente sembra che possano essere la soluzione. Piuttosto, ogni situazione va attentamente analizzata e affrontata nel modo più specifico possibile, non dimenticando né i consigli sullo stile di vita né il rapporto tra medico e paziente, che in questi casi dovrebbe essere particolarmente empatico.

L’utilizzo di antidepressivi come farmaci per il dolore, dal canto suo, deve essere studiato in modo assai più rigoroso di quanto non si sia fatto finora prima di poterlo consigliare.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 15 marzo 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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