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Per contrastare l’artrosi della mano
bisogna agire sulla vitamina A

L’artrosi della mano, che colpisce circa il 40% della popolazione, e in misura significativamente più alta le donne rispetto agli uomini, potrebbe diventare curabile farmacologicamente, se i dati ottenuti da un gruppo di reumatologi dell’Università di Oxford, in Gran Bretagna, appena pubblicati su Science Traslational Medicine trovassero conferme e fossero sviluppati. Per la prima volta, infatti, i risultati forniscono una spiegazione di ciò che potrebbe determinare la malattia, e indicano quindi una direzione verso la quale procedere.

Nello studio, gli autori hanno analizzato i tessuti di 33 persone che soffrivano di artrosi della mano, e hanno scoperto che costoro avevano una bassa concentrazione di un metabolita della vitamina A chiamato acido retinoico tutto trans o atRA, e che quello presente veniva degradato molto rapidamente. L’ipotesi di lavoro, che ha trovato i primi riscontri sperimentali, è stata quindi che farmaci diretti a neutralizzare o quantomeno abbassare la degradazione dell’atRA, chiamati con l’acronimo RAMBA (da retinoic acid metabolism blocking agent), potessero essere efficaci nella malattia, aiutando e tenere di livelli di atRA entro livelli fisiologici. Uno di questi, chiamato talarozolo, ha causato evidenti miglioramenti nei modelli animali dopo sole sei ore, mentre dopo 26 giorni aveva stimolato una significativa rigenerazione delle cartilagini, a conferma dell’efficacia di una terapia che punti a reintegrare l’acido retinoico.

Occorreranno ancora molte ricerche, sperimentali e poi sui pazienti, ma l’intervento sul metabolismo dell’acido retinoico potrebbe riuscire laddove, finora, nessuna terapia ha avuto successo.


Data ultimo aggiornamento 17 gennaio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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