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Tra le cause dell’anoressia forse c’è anche
uno squilibrio del microbiota intestinale

Assetto genetico, stile di vita e fattori psicologici e… microbiota. Ai già noti fattori di rischio per l’anoressia, e cioè una certa predisposizione genetica e alcune situazioni, condizioni psicologiche e abitudini, probabilmente ne va aggiunto un altro, altrettanto fondamentale: la composizione del microbiota intestinale, che in chi soffre di questo disturbo del comportamento alimentare (DCA) risulta profondamente alterata.

Che sia così così lo ha dimostrato un gruppo di medici e ricercatori danesi, dell’Università di Copenaghen, esperti di DCA, analizzando il microbiota di una settantina di ragazze anoressiche e di altrettante ragazze sane. Come riferito su Nature Microbiology, infatti, le differenze tra i due gruppi sono evidenti, soprattutto in alcune popolazioni batteriche come quelle dei clostridi, e virali (visibili nelle modifiche dei rapporti tra virus e batteri). Non a caso, se si trapianta il microbiota di una ragazza con DCA in un modello animale, si vede che quest’ultimo inizia ad assumere un comportamento che ricorda molto da vicino quello della donatrice, e cioè non ha più appetito, mostra depressione e iperattività, oltre a perdere peso e a consumare più velocemente il grasso bruno, a differenza di ciò che avviene se il modello animale riceve un microbiota normale. Ma c’è di più. Se si analizzano i metaboliti nel sangue, si vede che chi soffre di anoressia ha meno vitamina B1, una carenza che, a sua volta, spiega alcuni comportamenti come la perdita di appetito, e che si spiega, anch’essa, con una disbiosi, cioè uno squilibrio del microbiota.

La buona notizia è che quanto scoperto autorizza a progettare studi clinici che verifichino se un trapianto di microbiota (da effettuare dopo una terapia antibiotica per normalizzare la situazione), magari con l’aggiunta di vitamine del gruppo B, possa o meno aiutare chi soffre di anoressia.

Con i trattamenti attuali, quasi sempre multidisciplinari, solo un anoressico/a su due riesce a ottenere una completa remissione, mentre uno su cinque tende a cronicizzare con gravi ripercussioni su tutta la sua salute. D’altro cantio, la malattia, come tutti i DCA, è in forte aumento. Identificare nuovi approcci terapeutici che possano affiancare quelli già disponibili potrebbe rivelarsi molto utile, e aiutare a mettere a punto strategie sempre più personalizzate ed efficaci.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 7 giugno 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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