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Medico, cura te stesso e scaccia il burn out:
con la meditazione trascendentale

I medici e il personale sanitario sono a rischio di sviluppare, durante la loro carriera, il burn out, la depressione, l’ansia, l’insonnia e altre forme di disagio psichico associate alla delicatezza del loro ruolo, e alla grande mole di lavoro che sono chiamati a svolgere. Non a caso, il burn out, una forma di grave esaurimento emotivo, è considerata una malattia professionale, e la pandemia ne ha esacerbato in misura molto significativa l’incidenza.

Per questo la via indicata da uno studio appena pubblicato sul Journal of Continuing Education in the Health Professions, che ne conferma altri analoghi usciti negli ultimi mesi, potrebbe essere utile per molti professionisti, che non vogliono o non possono ricorrere ad altri tipi di aiuto.

Secondo quanto continua a emergere, infatti, per contrastare il burn out, la meditazione cosiddetta trascendentale (un nome abbastanza pomposo, dato dagli angolosassoni, che indica in realtà una meditazione molto semplice) è molto efficace. Essa richiede uno sforzo volto a rallentare la velocità dei pensieri, ad acquisire chiarezza di visione e calma grazie alla concentrazione, al silenzio dell’ambiente, interrotto solo da un breve mantra, e al buio assicurato dagli occhi chiusi: è quindi alla portata di chiunque, ed è totalmente gratuita.

Nel caso specifico, gli psicologi dell’Università di Chicago hanno selezionato 40 medici di 15 specialità e hanno chiesto a metà di loro di seguire un protocollo che prevedeva due sedute da 20 minuti ciascuna tutti i giorni per quattro mesi. Dopo un iniziale breve corso su come si medita, i partecipanti sono stati invitati a chiudere gli occhi e a ripetere il mantra, cercando di lasciar andare almeno parte dei molti pensieri che affollano costantemente la mente; l’altra metà doveva continuare ad affrontare il burn out e la depressione con gli approcci più classici.

Alla fine del periodo, sia il burn out che la depressione sono risultati molto diminuiti (in base a scale di valutazione internazionali, che hanno dato risultati statisticamente significativi) nei medici che avevano meditato, e calati solo lievemente negli altri. Da notare che lo studio è stato condotto prima della pandemia. Lo stesso, poi, si è visto in due studi che hanno preso in considerazione medici esausti dopo la pandemia: nel primo, pubblicato su JAMA, 80 di loro sono stati trattati con lo stesso protocollo (due sedute di 20 minuti) per tre mesi, e anchje in quel caso è emerso un effetto statisticamente significativo sul burn out, sull’insonnia e sull’ansia, anche se lo stress generale non è diminuito. Anche il secondo, pubblicato sul Journal of the American College of Emergency Physicians e condotto su 14 medici di un Pronto Soccorso che avevano lavoranto durante il Covid, ha mostrato effetti significativi sul burn out e sugli altri sintomi quali ansia, depressione e insonnia.

Prima di pensare a terapie farmacologiche o a metodi più invasivi – concludono tutti gli autori di questi studi – il personale sanitario dovrebbe imparare la meditazione, e praticarla regolarmente: ne trarrebbe grandi benefici, a costo zero e con la praticità di poterla effettuare dove e quando vogliono.

A.B.
Data ultimo aggiornamento 1 febbraio 2023
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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