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A caccia di virus per combattere i linfomi

Molti tumori del sistema linfatico sono favoriti da malattie virali, come l’Aids e l’epatite C. Curare queste patologie, e individuare eventuali altri virus "oncogeni", è un modo efficace per ridurre l’insorgenza dei linfomi. Esperti riuniti a Lugano

Andare a caccia di virus per combattere, in realtà, i tumori del sistema linfatico, i linfomi. L’"ordine" arriva dal congresso sui linfomi maligni, che ha riunito a Lugano più di 3.500 esperti arrivati dai cinque continenti, per uno degli appuntamenti internazionali più importanti su questo tema. «Sicuramente una parte non piccola dei linfomi è innescata da attacchi virali - conferma Franco Cavalli, direttore scientifico dell’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana e presidente del congresso. - Siamo certi che l’Hiv e il virus dell’epatite C, per esempio, giochino un ruolo importante nell’evoluzione di questa malattia, ma molto probabilmente anche altri virus determinano una serie di alterazioni che possono poi sfociare in un linfoma. Dunque è fondamentale che vengano intensificati gli studi per identificare questi microrganismi (oltre ai virus, sono sotto accusa, in verità, anche certi tipi di batteri, come l’helicobacter). Riuscendo a riconoscerli e a debellarli, si potranno ridurre anche i casi di linfoma, il quinto tipo di tumore, come percentuale di incidenza, fra tutti».
In trent’anni il numero dei linfomi è raddoppiato, nei Paesi industrializzati, ma da qualche tempo questo incremento ha subìto uno stop, per fortuna. «Merito dei farmaci che hanno permesso di tenere sotto stretto controllo il virus Hiv e di curare con molta maggiore efficacia il virus dell’epatite C» - spiega Cavalli.

HODGKIN E NON - Non esiste un solo tipo di linfoma, ma più di una trentina, tutti accomunati da una duplicazione eccessiva e “sbagliata” dei linfociti (cellule fondamentali del sistema immunitario, presenti nei linfonodi, nella milza e nel timo). I linfomi si suddividono fondamentalmente in due categorie: quelli definiti di Hodgkin (dal nome del medico che per primo li descrisse nel 1832), e quelli non Hodgkin. «E’ una distinzione storica, prima ancora che scientifica - dice Cavalli. - I linfomi di Hodgkin sono ben identificabili al microscopio attraverso particolari cellule, che non si trovano nelle altre forme di tumore. La percentuale di guarigione è molto alta, intorno all’80-90% dei casi, grazie alla chemioterapia e, se necessario, alla radioterapia. I linfomi non Hodgkin, invece, sono molto più variabili - continua Cavalli. - Esistono quelli definiti indolenti, che spesso non riusciamo a debellare completamente, ma che possiamo trasformare, grazie ai farmaci, in una sorta di malattia cronica, anche per 15 o 20 anni. Altri tipi di linfomi non Hodgkin vengono invece chiamati aggressivi, e in questo caso la percentuale di guarigione si ferma, in media, al 50%».

LE SOSTANZE TOSSICHE - Al congresso di Lugano si parlerà (per quattro giorni, fino a sabato 20 giugno) anche di sostanze tossiche che, da sole o insieme ai virus, possono creare le condizioni favorevoli per lo sviluppo dei linfomi. «Sono stati identificati, nel tempo, diversi "veleni" con un potere cancerogeno - spiega Cavalli. - Queste sostanze richiamano un gran numero di cellule del sistema immunitario (che intervengono per arginare l’"aggressione"), e innescano un meccanismo simile a quello delle infiammazioni croniche. I linfociti e gli altri "poliziotti" si moltiplicano all’inverosimile, ma così facendo vanno incontro a una probabilità più alta di errori (inevitabili nella duplicazione cellulare): alla creazione di cellule, cioè, che nascono con alterazioni capaci di dar vita a un tumore».
Numerosi studi sono in corso per individuare nuovi, possibili cancerogeni (molti anni fa si era scoperto, per esempio, che una lacca per capelli aveva questo pericolosissimo potere, e la sostanza è stata ritirata dal commercio. Ma anche certi pesticidi sono stati messi sotto accusa). Identificarli ed eliminarli è un’arma importante contro i linfomi.

I NUOVI FARMACI - Uno degli argomenti forti del congresso di Lugano saranno anche i nuovi farmaci in sperimentazione, o entrati in commercio da poco, per curare i linfomi: in particolare, per debellare quel 15-20% di linfomi di Hodgkin che non rispondono alla chemioterapia tradizionale. «Buoni risultati arrivano dal brentuximab, un anticorpo monoclonale di nuova concezione che è progettato per raggiungere i linfociti alterati e per liberare una sostanza tossica, in grado di distruggere le cellule tumorali. Altri tipi di farmaci, come l’ibrutinib, sono invece piccole molecole con la capacità di bloccare le pathway, come dicono gli esperti, cioè le vie metaboliche che permettono alla cellula tumorale di attivarsi. Infine, a Lugano verranno presentati diversi studi sui cosiddetti "inibitori del check point immunitario": medicinali, cioè, che riescono a "spegnere" i meccanismi pericolosi messi in atto dalle cellule tumorali per limitare l’attività dei linfociti T. Uno dei più avanzati è il nivolumab, sperimentato soprattutto negli Stati Uniti.

IL RUOLO DELLA PET - Non è facile impostare una terapia adeguata contro i linfomi, senza esagerare con la chemioterapia e con la radioterapia, che va utilizzata solo se è necessario, per evitare i possibili danni collaterali, soprattutto al cuore (visto che una zona irrorata spesso, nei pazienti più giovani, è il mediastino, nel torace, dov’è ospitato il timo). «La Pet, cioè la tomografia a emissione di positroni, ci può aiutare molto - dice Cavalli. - E proprio al congresso di Lugano verranno presentati nuovi, importanti dati sulla sperimentazione condotta all’Istituto Oncologico della Svizzera Italiana con questo sofisticato strumento diagnostico».
Dopo i primi due mesi di cure, grazie alla Pet si può capire se occorre intervenire anche con la radioterapia, o se è sufficiente la chemio. Quattro pazienti su cinque, di norma, possono continuare la cura unicamente con questi medicinali, spesso a dosi inferiori, oltretutto, rispetto a quelle iniziali. Ma, appunto, solo la Pet permette di verificarlo. L’interpretazione di questo tipo di esame richiede però una grandissima perizia, che nei centri più avanzati (e solo in quelli...) è ormai uno standard.

Data ultimo aggiornamento 17 giugno 2015
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Tags: chemioterapia, nivolumab, Ticino



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Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

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Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

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